Lasciti digitali

IL TESTAMENTO E I DIGITAL ASSET

Avete dei dubbi su quale sarà il destino dei blog, account di Facebook o di Instagram, video su TikTok o su YouTube, password, file Word, foto sul cellulare, e-mail o messaggi di Whatsapp e di tutto ciò che si trova su un supporto digitale online od offline dopo la morte del loro legittimo titolare?

Nell'era digitale è ormai divenuto possibile, mediante l’impiego di strumenti informatici, creare, gestire e condividere contenuti digitali, che permettono di formare e sviluppare una parallela e distinta vita virtuale, da taluni definita come l'“io digitale” (F. MASTROBERARDINO, Il patrimonio digitale, Napoli, 2019, p. 40 e V. PUTORTI', Patrimonio digitale e successione mortis causa, in Giustizia Civile, 2021 fasc. 1, p. 169.). La formazione di tale nuova identità permette a chiunque di lasciar “traccia” della propria esistenza, senza alcun limite di spazio e tempo, anche oltre la propria morte. Ne consegue che tutto il materiale formato e sviluppato grazie all’intermediazione di un supporto informatico/digitale, online oppure offline, costituisce il c.d. patrimonio digitale di chi lo crea, come tale meritevole di tutela anche in ipotesi post mortem. Ci si pone, quindi, il problema relativo alle sorti dei materiali informatici personali dopo la morte del loro titolare, soprattutto al fine di tutelarne la riservatezza e la segretezza. 

COSA SONO IL PATRIMONIO DIGITALE e L'EREDITA' DIGITALE?

A livello giuridico il patrimonio di un soggetto è comprensivo della totalità dei rapporti giuridici, attivi o passivi, suscettibili di valutazione economica e, quindi, aventi carattere patrimoniale. Il concetto di patrimonio digitale, invece, va oltre il senso strettamente giuridico: esso ricomprende non solo i rapporti patrimoniali, ma anche quelli non patrimoniali.

Non vi è alcun dubbio che la maggior parte delle informazioni e dei contenuti che sono custoditi su supporti informatici o che circolano sul web siano economicamente rilevanti: si pensi ad un file Word contenente il manoscritto di un libro mai pubblicato. In tali casi, il contenuto digitale viene considerato alla stregua di un bene giuridico dotato di materialità corporea – senza differenza alcuna con quest’ultimo – rientrante nel patrimonio di un soggetto e, pertanto, sottoposto alle stesse regole generali sulla sua circolazione e trasmissione mortis causa.

Più articolata è, invece, la sorte di tutti quei contenuti digitali che, di per sé, non avrebbero valore economico, in quanto legati alla libera espressione della personalità di un soggetto oppure alla sua interazione con soggetti terzi – come i social network – o ancora perché soggetti a discipline straniere e clausole contrattuali che, talvolta, non trovano riscontro nell’Ordinamento italiano.

Data la crescita sempre più consistente di tali ultime categorie di beni digitali, gli esperti del diritto si interrogano su quale possa essere la disciplina loro applicabile e soprattutto su quale sia il loro destino, almeno per le ipotesi in cui il loro legittimo titolare abbia cessato di vivere.

COME È POSSIBILE GESTIRE IL PATRIMONIO DIGITALE A SEGUITO DELLA MORTE DEL SUO LEGITTIMO TITOLARE?

Alcuni autori fanno riferimento al concetto di "eredità digitale", che, anche in tal caso, va inteso in senso lato, in quanto si vuol far riferimento a tutta la vicenda successoria a causa di morte.

Secondo l’Ordinamento italiano, in caso di successione mortis causa si trasmettono ai chiamati all’eredità tutti i rapporti giuridici patrimoniali, cioè quelli che possono essere oggetto di scambio e che non sono strettamente legati alla persona del de cuius (cd rapporti giuridici a carattere personale).

Con la morte, infatti, non si trasmettono i diritti della personalità (quali il diritto al nome, alla riservatezza ecc.), i rapporti intuitu personae oppure i rapporti legati ad uno status familiare (come nel caso dell’obbligo agli alimenti), cioè tutti quei rapporti che riguardano la sfera individuale ed affettiva. Essi, sostanzialmente, sono destinati ad estinguersi con la morte del loro titolare.

Posto che ci sono dei beni trasmissibili mortis causa e dei beni che invece non possono essere oggetto di successione, occorre capire in quale categoria rientrano i beni digitali.

Talvolta l’analisi in esame è più semplice, come nel caso del manoscritto contenuto in un file informatico o delle fotografie di un fotografo professionista i quali, potendo essere pubblicati e potendo comportare la produzione di un profitto, sono da considerarsi beni patrimoniali.

La medesima analisi, invece, in altri casi è più ardua, data la non agevole individuazione dell’interesse prevalente di determinati beni digitali (si pensi alle credenziali di un account, all’account social oppure in generale ai dati personali presenti nel web).

COSA PUÒ FARE IL SOGGETTO CHE INTENDE GESTIRE IL PROPRIO PATRIMONIO DIGITALE PER IL TEMPO IN CUI AVRÀ CESSATO DI VIVERE?

Ci si è chiesti se il testamento sia uno strumento idoneo per decidere della sorte dei singoli beni digitali.

Per poter dare una risposta occorre innanzitutto stabilire se il bene digitale di cui si vuole disporre abbia carattere personale oppure carattere patrimoniale.

In alcuni casi tale analisi è molto semplice, poichè il bene digitale di cui si vuole disporre può ricondursi ad un bene fisico, del quale ne segue la disciplina giuridica. Si pensi all'esempio poc'anzi ricordato relativo al manoscritto di un libro redatto in formato Word: in questo caso, come meglio infra specificato, il legittimo titolare del manoscritto può liberamente deciderne le sorti allo stesso modo di un manoscritto redatto su supporto cartaceo e secondo le norme che disciplinano il Diritto D'Autore.

Per il caso in cui, invece, si tratti di beni considerati o valutabili come personali – e quindi destinati ad estinguersi con la morte del loro titolare – risulta imprescindibile una previa analisi caso per caso.

Secondo l’orientamento prevalente della dottrina, infatti, “al di fuori del perimetro dei diritti patrimoniali del defunto, ciò che può residuare, in realtà sono solo forme di tutela iure proprio, con legittimazione attribuita dalla Legge” (S. DELLE MONACHE, Successione “mortis causa” e patrimonio digitale, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2020, fasc.2, p. 468.). Ciò significa, in altri termini, che gli eventuali diritti riconosciuti su tali beni digitali personali a determinati soggetti a seguito della morte del titolare di quel bene digitale, in realtà sono individuati dalla Legge stessa, in quanto a loro direttamente riconosciuti (e non si tratta di una successione in senso proprio).

Da ciò ne consegue che, in tali casi, nulla può il testatore, se non rispettare la normativa specifica che governa ogni singolo bene. 

POSSO DISPORRE PER TESTAMENTO DELLE OPERE DIGITALI DELL’INGEGNO?

Se il bene digitale è un’opera dell’ingegno e cioè un bene "di carattere creativo che appartiene alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione" (art. 2575 codice civile) – come ad esempio un’opera letteraria su supporto informatico, una fotografia digitale, una traccia musicale, banche dati, programmi per pc, applicazioni e simili – si applica la disciplina della legge sul diritto d’autore (L. n. 633/1941 e successive modifiche).

Secondo la normativa in esame, in capo all’autore dell’opera dell’ingegno sorgono due diritti: il diritto patrimoniale d’autore e il diritto morale d’autore.

Mentre il secondo è inteso come diritto ad essere riconosciuto come il padre dell’opera, non trasmissibile mortis causa, in quanto assoluto, inalienabile e imprescrittibile, nonché personale, il primo può essere ceduto a causa di morte. Esso, infatti, può riferirsi sia al diritto di pubblicare l'opera sia di riprodurla o distribuirla o in ogni caso di sfruttarla economicamente.

Di conseguenza, il padre dell’opera può, mediante un testamento, in qualsiasi forma redatto, decidere la sorte della propria opera e permettere ai suoi eredi di sfruttarla economicamente.

POSSO DISPORRE A TITOLO DI LEGATO DI UNA PASSWORD?

Le password, i PIN e in generale le credenziali di accesso a qualsiasi piattaforma o supporto informatico possono essere oggetto di una disposizione testamentaria. Il testatore, infatti, può decidere di formulare una disposizione ad hoc in cui attribuisce ad un soggetto specifico le password o le credenziali di accesso. Si tratta di un lascito a titolo particolare, che prende il nome di legato di password.

Per la loro peculiare natura, sia le password che le credenziali d'accesso, devono necessariamente riferirsi ad un contenuto protetto, altrimenti, svincolate dallo stesso, non hanno alcuna ragion d’essere. Proprio per questo motivo la dottrina ha avuto cura di effettuare una distinzione tra legato di password in sé per sé considerato e legato di password come disposizione per relationem.

Le password - e in generale le credenziali di accesso - possono essere oggetto di legato testamentario solo quando lo scopo del testatore è quello di attribuire al beneficiario anche il contenuto della piattaforma digitale o dello strumento informatico cui la stessa è posta a tutela. Si riconosce che l’attribuzione della credenziale, infatti, rappresenta “un modo per ordinare un lascito a titolo particolare costruito in base ad una relatio” (S. DELLE MONACHE, Successione “mortis causa” e patrimonio digitale, cit., p. 468.). Si pensi, ad esempio, al legato della password di una chiavetta USB per lasciarne il contenuto oppure della password di un conto corrente bancario per lasciare la relativa somma di denaro.

Invece, se lo scopo è quello di disporre della password in sé per sé considerata, la disposizione testamentaria, per quanto ammissibile, non ha alcuna rilevanza giuridica, poiché priva di qualsiasi utilità o finalità economico-patrimoniale.

POSSO DISPORRE MORTIS CAUSA DEI MIEI SOCIAL NETWORK?

Se l'intenzione è quella di disporre delle password o delle credenziali riferibili ad account social o di messaggistica istantanea (comprese le email) la situazione è più complessa rispetto a quanto detto nel paragrafo precedente. In questi casi gli utenti, per poter usufruire di siffatti servizi, finchè vivono, devono sottoscrive delle condizioni generali di contratto con i provider che li gestiscono. Con non rada frequenza tra le clausole standard di tali contratti vi è quella volta alla cancellazione automatica, da parte del provider, dell’account al momento del decesso dell'utente. La ratio di simili condizioni contrattuali risiede nella tutela dei dati personali dei soggetti coinvolti, sia esso l'utente o un soggetto terzo che interagiva con lui.

Tuttavia, essendo sempre più penetrante la tematica della trasmissibilità mortis causa dei contenuti digitali creati da soggetti che ormai sono deceduti, alcuni provider ricorrono ai c.d. online tools. Si tratta di strumenti che permettono all’utente di esprimere la propria volontà in merito al tempo in cui avrà cessato di vivere. Si pensi al caso del contatto erede utilizzato da Facebook o all’inactive account manager di Google, tramite i quali i provider inviano delle nuove credenziali ai contatti individuati dal de cuius per la gestione degli account del defunto. I contatti erede, però, non possono liberamente fruire degli account loro affidati, ma possono solo gestirli senza alcuna interferenza con i contenuti fino ad allora condivisi dai soggetti ormai defunti. Insomma, il contatto erede può diventare solo un mero gestore di un account già di per sé formato, senza potervi apporre delle modifiche (M. TAMPIERI, Il patrimonio digitale oltre la vita: quale destino?, in Contratto e impresa, 2021, fasc. 1, pp. 559-560.).

Ma se, invece, un soggetto ha il desidero di attribuire il proprio account ad un soggetto specifico e permettergli di modificarlo e mantenerlo attivo, come può fare?

A tal proposito gli operatori del diritto hanno individuato alcuni strumenti, molto simili al c.d. contatto erede di Facebook, in grado di autorizzare o di obbligare un soggetto a gestire il proprio account: trattasi del mandato testamentario e dell’esecutore testamentario.

Nel primo caso si tratta di un’autorizzazione, recettizia e revocabile, finalizzata ad impartire delle regole su come amministrare l’account. Con il secondo strumento, invece, il testatore può incaricare un soggetto a monitorare l’esatta esecuzione delle sue ultime volontà, tra le quali quelle – magari – di gestire il proprio account. Trattasi nel primo caso di un atto tra vivi; nel secondo di una disposizione da inserire in un testamento, in qualsiasi forma redatto. 

POSSO VIETARE L'UTILIZZO DEI MIEI DATI DIGITALI PERSONALI?

Il d.lgs n. 101/2018 recante Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), all’art. 2-terdecies ammette l’applicazione della normativa sulla tutela dei dati personali anche alle persone defunte. In particolare, riconosce che i diritti previsti dagli articoli da 15 a 22 dello stesso, possano essere esercitati da chi “ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. Si tratta di una serie di diritti – quali il diritto di accesso, il diritto di rettifica di dati inesatti, il diritto alla cancellazione dei dati, il diritto di ottenere limitazioni di trattamento, il diritto di notifica, il diritto alla portabilità dei dati, il diritto di opposizione, diritto di non essere sottoposto a processi decisionali automatizzati – che possono essere gestiti dal diretto interessato in ipotesi post mortem, dando l’incarico ad un soggetto che lo farà per lui. Tale disciplina senza ombra di dubbio, può applicarsi, non solo, ai dati personali su supporti cartacei, ma anche e soprattutto ai dati personali che circolano nel web o che sono depositati su supporti informatici. Il titolare dei dati dovrà perciò - tramite dichiarazioni chiare ed univoche – far emergere la propria volontà e incaricare un soggetto ad adempiere fedelmente la sua disposizione. A tal fine, il testamento è certamente uno strumento idoneo, soprattutto se redatto nella forma pubblica.

CONCLUSIONI

In conclusione, bisogna tenere conto come talvolta la libertà di disporre da parte del legittimo titolare di alcuni beni digitali sia pregiudicata dalla disciplina specifica di ogni singolo bene.

Per questo motivo lo studio notarile offre un servizio di consulenza pronto a risolvere dubbi e incertezze sull'argomento volto a trovare la soluzione più adatta alle richieste di ogni cliente. E’ possibile contattare lo studio notarile inviando una e-mail ai seguenti indirizzi:

giuliafilograna@notaiomoscatiello.it

elisabiscotti@notaiomoscatiello.it

Dott.ssa Giulia Filograna

BIBLIOGRAFIA

  1. MASTROBERARDINO, Il patrimonio digitale, Napoli, 2019.
  2. PUTORTI', Patrimonio digitale e successione “mortis causa”, in Giustizia Civile, 2021 fasc. 1.
  3. DELLE MONACHE, Successione “mortis causa” e patrimonio digitale, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2020, fasc.2.
  4. TAMPIERI, Il patrimonio digitale oltre la vita: quale destino?, in Contratto e impresa, 2021, fasc. 1.

D.lgs n. 101/2018 recante Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).

Relazione al codice civile n. 285 all’art. 587 c.c.

Codice civile, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262.

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